Etichette per abbigliamento contro le contraffazioni

Tra le tante e importanti funzioni che assolvono le etichette per abbigliamento non si può sottovalutare una di quelle più significative, cioè quella di costituire deterrente per quanto concerne le falsificazioni.

 

Sarà capitato a tutti di avere tra le mani un abito, un cappotto, un pantalone, venduti in luoghi non garantiti e spacciato per essere un capo realizzato da una determinata maison, ma tradito da un cartellino approssimativo, con il logo sbagliato, mal stampato e realizzato con materiali poveri, che rendono le comunicazioni poco credibili, e che spesso non contengono neppure le corrette informazioni per la vendita.

 

Ecco che in questo modo anche questo piccolo veicolo di informazione, comunicazione ed immagine, attraverso la qualità del progetto grafico, di scelta dei materiali e di stampa od impressione, diventa elemento di certificazione.

La felice intuizione delle etichette per abbigliamento

Approssimative forme di identificazione di un abito, di una calzatura o di un accessorio moda risalgono già a qualche secolo fa, ma con certezza si sa che il primo a ideare e certificare le proprie creazioni attraverso vere e proprie etichette fu Charles Frederick Worth: il primo grande couturier, di origini inglesi, ma attivo nella Parigi dell’800, che pensò che i propri capi di abbigliamento meritavano una riconoscibilità.

 

Cominciando così ad impiegare piccoli inserti di stoffa ricamati provvisti di informazioni, ma anche come “firma” delle sue creazioni di moda, sancì la nascita dell’haute couture.

 

Worth rappresenta davvero una figura storica della moda, primo anche a decidere di far conoscere i modelli in anticipo rispetto alla stagione, inventore cioè delle sfilate di moda.